A mia nonna
È domenica, mia nonna muore
sulla sedia – e di lei mi resta
la sedia – accanto tiene il suo
breviario e bruciano insieme.
Di lei condivido l’intuizione
di mezzo seme. È domenica
e di questo ceniamo, senza
fame e senza dire grazie a chi
non ci ha dato pane; e con la
nausea di ieri ad affogare le narici
mi racconta di quella volta;
di quella volta senza pane
e mentre parla mi domando
quante volte. È domenica
ma non il suono delle campane,
eppure, dice, sarebbe di scena,
ma nulla o forse il dubbio che
neanche il prete abbia inghiottito cena.
È domenica e gli chiedo di sabato
del millenovecentosessanta e penso
a quando mi chiederanno; che già
non ho forza di dire il presente,
e imploro il mio breviario di bruciare
col suo perché la risposta sia niente.
Del presente posso dire il tragico
odore di felce azzurra di quando
si lavava, e io qui ancora a lavarla
e a pensare al niente di lei –
e alle sue volte, e a come le mie,
e a se saranno, se profumate o luride –
nell’attesa che qualcosa affranchi
la cifra della mia nullitudine.
para a minha avó
É domingo, a minha avó morre
na sua cadeira – e dela fica-me
a cadeira – ao lado tem o
breviário e ardem ambos.
Dela partilho a intuição
de meia semente. É domingo
e em torno disso jantamos, sem
fome e sem agradecer a quem
não nos deu pão; e com a
náusea da véspera a sufocar as narinas
conta-me acerca dessa vez;
dessa vez sem pão
e enquanto fala pergunto-me
quantas vezes mais. É domingo
mas sem o repicar dos sinos,
no entanto, diz que seria a sua cena,
mas nada ou talvez a dúvida de que
nem sequer o padre tenha digerido o jantar.
É domingo e pergunto-lhe por um sábado
de mil novecentos e sessenta e penso
quando me perguntarão; pois já
não tenho força para dizer o presente,
e imploro que o meu breviário arda
junto ao seu para que a resposta seja nada.
Do presente posso dizer o trágico
odor do feto azul quando
se banhava, e eu ainda aqui a lavá-la
e a pensar no nada dela –
e nas suas outras vezes, tal como as minhas,
se serão perfumadas ou imundas –
na expectativa de que alguma coisa liberte
a imagem da minha insignificância.
Cancro
Sei gelido. Pensi
a quando è accaduto,
l’io esaurito alla manutenzione
di un dolore.
Hai reso madre tua moglie,
che orrore: come un bimbo
t’imbocca di clemenza
dove tu vorresti amore.
Cancro
Estás gelado. Pensas
em quando aconteceu,
o eu exausto na conservação
de uma dor.
Fizeste da tua mulher uma mãe,
que horror: como a um menino
alimenta-te de clemência
onde tu querias amor.
E neanche l’inciampo, la vertigine,
lo spavento venne dopo, l’adesso,
la vita fu cosi lenta da non farsi sentire.
E il mondo splendeva nella mia assenza.
E io splendevo nell’assenza del mondo.
Nem o vislumbro, a vertigem,
o espanto irrompe depois, o agora,
a vida foi tão lenta para não se fazer sentir.
E o mundo resplandecia na minha ausência.
E eu resplandecia na ausência do mundo.
Tradução de Victor Oliveira Mateus
Nota – a presente publicação não é da responsabilidade do Curador da Poesia Italiana da Revista.
Riccardo Delfino nasce negli anni 2000 a Roma. Inizia a scrivere dai suoi 11 anni. Nel 2012 vince il secondo posto al concorso leoni
di ferro e il primo premio al concorso città di Casoria “Le parole dell’anima”. Nel 2021 pubblica il suo libro d’esordio “il sorriso
adolescente dei morti”, i quali versi sono apparsi in numerose riviste come “avamposto poesia”, “atelier poesia” “poetarum silva”,
tradotti in spagnolo e pubblicati su riviste internazionali come la messicana “tallerigitur” e “revista kametsa” nonché apparsi su “la
lettura” del corriere della sera. È un arbitro di calcio e studia filosofia a Roma.